Archivio dell'autore
Io e mio padre John, che insegna a scrivere col cuore
Chi non ama leggere, dovrebbe sfogliare un suo libro almeno una volta nella vita: cambierebbe idea in un attimo. Chi non ha mai letto un suo libro, dovrebbe comprarli tutti a cominciare da “Aspetta primavera, Bandini”, “La confraternita dell’uva”, “Chiedi alla polvere” e “Sogni di Bunker Hill”. Quattro capolavori da leggere d’un fiato per rimettere pace dentro la propria anima e guardare le cose che ci circondano con gli occhi colorati della poesia e delle emozioni più vere. Parliamo naturalmente di John Fante, l’indimenticato scrittore e sceneggiatore italo-americano che ha fatto della vicenda umana e dei sogni di Arturo Bandini, suo alter ego, un mito letterario da sistemare ai primi posti della libreria ideale di ciascuno di noi. A trent’anni dalla sua morte, abbiamo incontrato il figlio Dan, anch’egli scrittore, in Abruzzo per ricordare il padre in occasione dell’ultima edizione del festival di Torricella Peligna (il paese di origine della famiglia) a lui dedicato.
Freyrie, se la scrittura diventa uno spasso molto serio
Se non scrive, legge. Se non legge, suona la chitarra (classica ed elettrica). Vive a Bologna e lavora a Milano ma nelle sue vene, grazie alla madre, scorre sangue abruzzese. Ama Giulianova, dove trascorre (parole sue) almeno un mese all’anno della sua vita da quando è nato. Non è un tipo di quelli che danno nell’occhio, tuttavia è difficile che gli sfugga qualche dettaglio della realtà che lo circonda. Se non lo conosci bene, fai fatica a credere che una persona così seria, gentile e a modo sia capace di far ridere fino alle lacrime, davanti allo schermo, milioni di italiani. Come? Semplice: Francesco Freyrie, scrittore di teatro e televisione, è uno degli autori di punta della squadra di Maurizio Crozza. A volte fa capolino, agghindato come un perfetto corazziere, accanto al Crozza-Napolitano. Non ha velleità di attore, al contrario. È uno che ha fatto della scrittura una precisa ragione di vita oltre che il suo unico e prezioso (soprattutto per gli altri) lavoro.
Bimbo dimenticato nello scuolabus, autista suicida
Un anno e mezzo fa era stato accusato di coprire il collega che aveva dimenticato un bimbo di quattro anni nello scuolabus che guidava. Ieri si è ucciso, impiccandosi nella sua abitazione. Protagonista di questa storia triste è G.V., 49 anni, di Montorio al Vomano (Teramo). Si è tolto la vita nella tarda serata, dopo essersi chiuso all’interno del bagno. Nessun sospetto che potesse compiere un simile gesto da parte dei familiari, i quali, solo successivamente, non vedendolo uscire, hanno forzato la serratura e sono entrati nella stanza facendo la macabra scoperta. I tentativi di rianimarlo sono andati a vuoto. Per l’autista, ormai, non c’era più nulla da fare. Sul posto, oltre al personale del 118, sono arrivati i carabinieri per i rilievi di rito. Il nulla osta alla sepoltura è stato già disposto.
Professione: romanziere fantasy. A sedici anni
Marco Esposito, teramano, sedici anni, professione: romanziere. Lo si può già dire perché il suo primo romanzo, “Il vaso di Pandora”, pubblicato da Artemia Edizioni (2012, pagg. 278, 15 euro), è soltanto il primo volume di una corposa trilogia e sulle altre puntate della saga il nostro sta già lavorando. Se il buongiorno si vede dal mattino, la triplice fatica di Marco sarà ampiamente ripagata visto che la sua opera d’esordio, già presentata a Teramo, Pescara, L’Aquila ed Ascoli Piceno, anche nelle scuole, sta già riscuotendo significativi consensi.
Un libro che Marco ha scritto quando aveva tredici anni (o poco più) ma che ha visto la luce solo alcuni mesi fa. Questo, con ogni probabilità, perché non è semplice, almeno non lo è per tutti (fatta eccezione per i genitori o per chi è abituato a cacciar talenti), scoprire che un bambino riesce a coinvolgere giovani e meno giovani, con la propria scrittura, al pari di un adulto. Affrontando magari argomenti diversi, ma con la stessa profondità di chi è già maturo. Continua la lettura »
Il medico che di notte porta a spasso i pazienti
All’inizio erano pochi, appena sedici. In un paio di mesi, grazie al passaparola, sono diventati ottanta e forse anche qualcuno in più. Un gruppo numeroso, che non passa inosservato e suscita la curiosità degli automobilisti che lo incrociano. A Teramo i “camminatori notturni”, come vengono chiamati, sono nati per iniziativa di un medico di base, Piero Sinigaglia, che fa la professione da circa trent’anni e ha l’ambulatorio al centro della città. Sinigaglia, stanco di prescrivere solo farmaci, ha deciso di curare i pazienti facendo sport con loro. E così da alcuni mesi, il lunedì e il giovedì, alle ore 21 (il 25 luglio l’ultimo appuntamento prima della pausa estiva), aspetta sotto lo studio i propri assistiti e quanti tra amici e conoscenti vogliano aderire alle passeggiate notturne. Cinque chilometri a passo sostenuto lungo un percorso ad anello. E chi vuole, può fare il bis. I benefici devono essere tanti, se è vero che il gruppo continua a crescere a vista d’occhio. L’età media non conta, nel gruppo ci sono ragazzi di tredici anni e ultrasettantenni.
Mieli e Civitella: «Bellezza unica al mondo»
Per chi scrive non è soltanto un’icona del giornalismo. È anche un punto di riferimento per interpretare la realtà e i fatti che ci accadono intorno. Intervistare Paolo Mieli, presidente di Rcs Libri e storico direttore del Corsera, è dunque un privilegio ma anche un’occasione unica per capire dove sta andando l’informazione, come cambiano i giornali, come e quando si è (o si può diventare o tornare ad essere) giornalisti liberi. Lo incontriamo a Civitella del Tronto, in occasione del convegno su stampa e potere organizzato insieme al governatore abruzzese Gianni Chiodi. Mieli non nasconde la sua passione per il borgo teramano e per la bellezza delle terre che guardano il Gran Sasso. «Il panorama che si scorge lungo l’autostrada che va verso L’Aquila, prima di imboccare il traforo, quando giri la testa e vedi il mare, è uno dei più belli al mondo», confessa prima delle nostre domande.
Romanzo “svela” il primo mistero della Repubblica
Un giornalista (oggi anche docente universitario) di quelli con la schiena dritta, mai disposto a barattare la professione (che tuttavia per lui non è mai stata una missione) in cambio di altro. I suoi modi gentili e raffinati e l’aspetto vagamente anglosassone tradiscono questa dote, qualità rara, che però è ben visibile nei comportamenti. Paolo Di Vincenzo, caposervizio della redazione Cultura e Spettacoli de “Il Centro” per tredici anni, non è uomo delle mezze soluzioni. Lo ha dimostrato quando, di punto in bianco, due anni fa, ha lasciato un posto sicuro nel giornale edito da Finegil per prendere la strada che gli suggeriva il cuore. Una decisione che, per ora, ha prodotto un ottimo romanzo, “Il mistero dell’oro di Dongo”, giallo storico autoprodotto secondo le migliori regole del “self publishing” e scritto in modalità quasi autobiografica. Gli abbiamo chiesto di parlarcene. Ecco cosa ci ha raccontato del libro e di sé.
Storia di un batterista che diventò deejay del mondo
Abruzzese doc, ma non sembra affatto. L’idea che ti fai quando lo incontri è che sia un indiano metropolitano allevato per sbaglio a Teramo. Un po’ hippy, un po’ filosofo. Ma sempre incredibilmente pieno di impegni, tra Ibiza (la sua nuova residenza artistica) alle coste del Sudamerica o del Giappone. In realtà Stefano De Angelis, cittadino del mondo, è semplicemente un artista molto colto oltre che un raffinato deejay.
Lo intervistiamo alla vigilia della sua esibizione con Elisa Di Eusanio per lo spettacolo che l’attrice ha ideato e organizzato, all’interno del teatro romano di Interamnia, in memoria della madre, l’indimenticata Mariella Converti. Una nuova occasione, per De Angelis, di pizzicare in profondità le corde sensibili degli spettatori e far vibrare nell’aria musica potente e suggestiva.
Ortona, porto vietato agli scaricatori laureati
Un corso di formazione gratuito, la speranza di trovare un lavoro nel deserto delle opportunità, la delusione e il dubbio di essere stati esclusi perché laureati o, peggio, donne. Dubbio che gli organizzatori si sono affrettati immediatamente a fugare. È accaduto ad Ortona, in provincia di Chieti, dove per il corso di “addetto alla movimentazione carichi merci portuali”, che molto sa dell’antico mestiere dello scaricatore di porto, hanno presentato la propria candidatura (anche da fuori Abruzzo) 105 disoccupati. Uomini e anche donne. Età media, 25 anni. Tra gli aspiranti corsisti, alcuni laureati in Giurisprudenza e Ingegneria.
Ad organizzare il corso, destinato a chi ha perso un lavoro o non ce l’ha mai avuto (una platea di quindici disoccupati o inoccupati, poi saliti a ventuno), è stata la “Rete portuale” di Ortona, unione di imprese locali, insieme ai partner tecnici Adecco formazione e Nexus.
Radiosanit, storia di un’impresa sanitaria privata
Mario Verdecchia, fondatore e amministratore unico di Radiosanit, azienda con sede a Roseto degli Abruzzi che eroga servizi sanitari, si racconta. Dagli inizi come tecnico radiologo al Sant’Orsola di Bologna all’idea di creare una struttura polifunzionale. Oggi Radiosanit svolge tanti servizi e per alcuni di questi, in particolare la diagnostica per immagini, è convenzionata con la Asl ed affianca il pubblico cercando di sostenerne l’attività e di abbattere le liste d’attesa.
Mario Verdecchia, quando e com’è nata l’azienda?
«Nasce da un’idea, frutto della mia esperienza di tecnico radiologo presso il Sant’Orsola di Bologna. Lì ho lavorato per circa sei anni e poi sono tornato ad Atri, dove sono nato e dove risiedevo, per proseguire presso l’ospedale cittadino il mio lavoro. Mi sono accorto subito, però, che questa dimensione mi stava stretta. Il mio desiderio era di mettere a frutto diversamente l’esperienza accumulata».