Il gip riapre il caso Paolini
È notte fonda, una notte serena, e Budda brucia. Il suo corpo, all’interno della Renault Clio, è completamente avvolto dalle fiamme. Qualcuno, come emergerà dalle perizie, lo ha cosparso di alcol e poi gli ha dato fuoco con un accendino o un fiammifero. Leonardo Paolini, 22 anni, studente universitario, detto Budda per il suo carattere amabile e riflessivo, muore carbonizzato senza opporre alcuna resistenza o tentare di uscire dall’auto. Ma ha respirato i fumi della combustione, segno che in quel momento era ancora vivo. Questo accadeva tre anni e mezzo fa, la notte del 28 febbraio 2007, in località Colleparco, a Teramo, a due passi dall’università, nel buio di un boschetto noto soltanto a tossici e coppiette. Nelle vicinanze c’è un parco giochi che ora è intitolato proprio a Leonardo.
La tela del mistero che avvolge la morte di Budda sta per essere sollevata di nuovo.
Il gip del tribunale di Teramo, Domenico Canosa, ha riaperto il caso e, accogliendo le istanze della famiglia, che si era opposta alla richiesta di archiviazione del pubblico ministero (dovuta ad un quadro probatorio ritenuto non sufficiente a proseguire l’azione penale), ha disposto nuove indagini fissando in sei mesi il tempo massimo per completarle.
I genitori, Maurizio Paolini e Paola Giordano, e i fratelli di Leonardo, assistiti dal legale Tommaso Navarra, sono da sempre convinti che Leonardo sia stato ucciso. La madre, ospite ad aprile della trasmissione “Chi l’ha visto?”, aveva rivolto un appello affinché le indagini non fossero chiuse.
Le nuove verifiche disposte dal gip dovranno accertare, in particolare, se Leonardo sia stato colpito alla testa (aveva infatti il cranio sfondato) prima di prendere fuoco. A tale circostanza farebbe pensare anche la vasta macchia di sangue ritrovata all’esterno dell’auto, nei pressi dello sportello posteriore sinistro. La tesi della famiglia è che lui sia stato colpito, sistemato nell’auto e poi bruciato. Un malore (le perizie hanno rilevato la presenza di droga nel suo corpo, ma è difficile dire con esattezza a quando risalga il consumo), a cui seguirono lo spavento e la decisione di eliminare ogni traccia? Una vendetta? I genitori sostengono anche che qualcuno lo abbia drogato contro la sua volontà. Leonardo, raccontano, era uscito dal giro e non voleva ricaderci. Studiava da fisioterapista (cinque esami in pochi mesi), aveva una ragazza, frequentava gli amici. Con i quali era stato anche quella sera per festeggiare un compleanno. Ciò che avviene dopo averli salutati, intorno a mezzanotte, è ancora un mistero.
Per l’accaduto risultano tuttavia indagate tre persone, più o meno della stessa età di Leonardo, pluripregiudicate per consumo e spaccio di droga, i cui alibi andranno di nuovo verificati così come andrà verificato il contenuto di alcune loro conversazioni telefoniche intercettate dagli inquirenti.
Al fine di decodificare il contenuto non sempre chiaro di queste telefonate, la famiglia ha incaricato il super-esperto Roberto Cusani, già impegnato per il caso della piccola Denise Pipitone.
C’è la beffa dell’impossibilità di acquisire il tracciato del segnale lasciato dai telefonini degli indagati in quella notte – cosa che aiuterebbe a individuare i loro spostamenti – in quanto i gestori, secondo una legge modificata recentemente, hanno l’obbligo di conservarli solo per due anni. Circostanza incompatibile, come è noto, con i tempi della giustizia italiana. Eppure l’incendio, ironia della sorte, si è sviluppato sotto un traliccio della telefonia mobile.
Nicola Catenaro