Le alte vie dell’alpinista D’Angelo
Da dodici anni non fa più salite, ma le ha ripercorse tutte nel suo libro autobiografico Le alte vie di una vita (Verdone Editore), uscito in questi giorni. Si tratta dell’ultima «scalata» dell’aquilotto del Gran Sasso e guida alpina emerita, Lino D’Angelo.
Classe 1921, Lino, monumento vivente dell’alpinismo italiano e memoria storica delle genti del Gran Sasso, ad 88 anni suonati si è rimesso in gioco e ha iniziato a buttar giù la sua avventurosa vita sulle «alte vie» delle diverse vette che ha scalato in oltre sessant’anni di alpinismo.
Contagiato dai racconti degli aquilotti, di ritorno dalle arrampicate, che ascoltava nella piazzetta di Pietracamela, Lino a 15 anni, all’insaputa di tutti, senza corda e senza attrezzature si arrampicò per la prima volta lungo la parete nord del Corno Piccolo per raggiungere la vetta e finalmente provare anche lui quella stessa gioia ardente e intensa che percepiva dai racconti degli scalatori.
Iniziò così la sua lunga carriera in montagna che lo portò giovanissimo a Bormio, per il campionato di sci per avanguardisti, durante il fascismo. Poi a vent’anni la chiamata per la guerra e la destinazione in Africa fino al ‘43, dove fu fatto prigioniero dagli inglesi e trasferito a Glasgow.
Dopo sei lunghi anni di guerra, finalmente il ritorno sul Gran Sasso per riprendere l’attività alpinistica ripercorrendo tutte le vie già aperte e aprendone delle nuove: nel 1956 scalò per primo il Monolito del Corno Piccolo (nella foto), nel 1958 il terzo pilastro sul Paretone della vetta orientale del Corno Grande e nel 1967 affrontò la parete Nord del Monte Camicia in pieno inverno.
E ancora, aprì tra le tante altre lo “Spigolo delle guide”, nel Corno Piccolo. Tutti percorsi di alpinismo estremo, affrontati negli anni in cui si usavano corde di canapa, paponi di lana fatti a mano, pesanti chiodi di ferro e l’imbracatura di corda, un’attrezzatura rudimentale che Lino conserva ancora oggi gelosamente nella sua casetta, vero e proprio museo dell’alpinismo, così come i tanti messaggi e appunti che gli hanno permesso di scrivere questo libro. Un dono prezioso, una testimonianza di una passione intensa, pioneristica e avventurosa ma mai improvvisata, una testimonianza storica dell’evoluzione dell’alpinismo attraverso cui Lino è passato durante i suoi magnifici sessant’anni di attività.
Durante la sua vita, Lino ha avuto il piacere di conoscere grandi alpinisti e di portarli anche sul Gran Sasso; fra questi Walter Monatti, Cesare Maestri, Fosco Maraini (papà di Dacia Maraini), Kurt Diemberger. Di ciascuno conserva ancora dei ricordi che riporta fedelmente nel suo libro.
Ora Lino che ha 90 anni vive tra Pietracamela (Teramo) e L’Aquila, dove sta con la figlia Anna, sopravvissuti miracolosamente al terremoto. «Non faccio più salite» spiega «faccio solo escursioni perché i miei riflessi non sono più giovani. E i riflessi nell’alpinismo sono indispensabili per evitare di commettere errori. Ecco io nel corso della mia attività non ho mai commesso errori, altrimenti non sarei qui a raccontare la mia grande passione. Quando si apre una via ed incontri delle difficoltà che non ti permettono di raggiungere la vetta devi avere la preparazione di tornare indietro, non puoi rischiare. Molti credono di essere preparati e superano le proprie possibilità».
Catia Di Luigi
Attesa la “fama” che lo precede, ho spesso sentito parlare del grande alpinista e del grande uomo, Lino D’Angelo.
Tanti anni fa, ho persino avuto l’onore di essere accompagnato da lui in una traversata estiva, da Campo Imperatore a Pietracamela.
Vorrei tanto leggere il libro per conoscere meglio la sua storia e le sue avventure.
Purtroppo qui a Pescara non riesco a trovarlo.
Qualcuno potrebbe aiutarmi ?
Grazie
DI CARLO GIUSEPPE
6 Feb 2013 alle 09:43 edit_comment_link(__('Modifica', 'sandbox'), ' ', ''); ?>