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«Welfare, serve una rivoluzione culturale»

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Luciano D'Amico

Pubblichiamo l’intervista a Luciano D’Amico, economista e preside della facolta di Scienze della Comunicazione dell’Università di Teramo, apparsa sul numero di dicembre 2011 di “Cuore volontario”, magazine del Centro Servizi per il volontariato di Teramo. Nelle parole del docente, gli spunti per superare una concezione del welfare non più attuale. 

Professor D’Amico, il welfare oggi è stretto tra risorse che vengono a mancare e necessità in aumento. È d’accordo?

«Direi che per valutare la congruità delle risorse destinate al welfare, bisognerebbe innanzitutto liberarsi di uno schema di valutazione che ci deriva dal Novecento…

 

…, quando è nato il welfare. Noi siamo abituati ad utilizzare un metro di valutazione che è quello delle risorse monetizzate o comunque delle risorse declinate in termini finanziari che vengono prelevate con strumenti vari, generalmente di fiscalità generale, e poi destinate al welfare. Probabilmente abbandonare questo schema del Novecento, significa anche ripensare ad un welfare più diffuso, meno governato dal centro ma soprattutto meno misurato e meno condizionato dai metri di tipo finanziario».

 

Come è entrato in crisi il welfare che conosciamo?

«Il welfare ha raggiunto il suo massimo sviluppo e splendore prima delle crisi, non solo dell’ultima ma io direi forse del primo shock petrolifero, poi per questioni demografiche, di attribuzione mondiale delle risorse e per uno sviluppo degli strumenti ulteriore rispetto a come era stato immaginato, il modello è entrato in crisi. Ora, per poterlo trasformare in un welfare del XXI secolo, dovremmo immaginare una minore centralizzazione, una condivisione dello spirito del welfare e un impegno che non sia esclusivamente di tipo fiscale per i contribuenti e finanziario per lo Stato e per gli enti che a cascata ne dispongono».

 

Cosa comporta questo?

«Una minore centralizzazione significa una sorta di democratizzazione nella gestione del welfare, che dovrebbe consistere nel far sì che al cittadino contribuente, così come era stato immaginato nel Novecento, si sostituisca un cittadino volontario impegnato nell’erogazione diretta di alcuni servizi in modo da poter liberare quelle risorse che risultano sempre meno sufficienti per garantire i livelli di welfare cui siamo abituati. Livelli che possono essere mantenuti non ripotenziando l’acquisizione delle risorse finanziarie e la fiscalità generale e continuando a mantenere questi modelli novecenteschi ma che andrebbero trasformati qualitativamente e soprattutto nell’erogazione».

 

Quali sono i punti chiave di questa diversa concezione?

«Riassumendo: minore centralizzazione, diffusione, prossimità del welfare e richiesta di un impegno ai singoli che non sia esclusivamente o prevalentemente basato sull’uso della leva fiscale. Dobbiamo iniziare a proporre al cittadino anche un impegno diretto in tante forme che possano in qualche modo alleggerire un impegno delle strutture centrali e che possano rendere più partecipe ognuno di noi nella gestione di questi servizi».

 

Il modello di cui parla non è in qualche modo già funzionante, nel momento in cui intervengono i volontari a colmare le carenze dello Stato?

«Apparentemente potrebbe sembrare un modello simile, in realtà riflette una logica per certi versi opposta. Il modello che si dovrebbe immaginare per il XXI secolo è quello in cui si rovesciano le parti: è lo Stato che deve garantire una funzione di supplenza rispetto alle organizzazioni di volontariato o ad altre organizzazioni più periferiche alle quali andrebbe riassegnato un ruolo principale nell’erogazione di molti servizi del welfare. In questo rovesciamento dei ruoli dei diversi attori potrebbe esserci la nascita di un nuovo modello più responsabilizzato in cui, attraverso questa prossimità nella predisposizione e nell’erogazione dei servizi di assistenza, si può immaginare un apporto dei singoli che non sia solo puramente finanziario ma sia basato anche su una disponibilità di tempi, di attenzioni, di competenze e di risorse non banalmente economico-finanziarie. Una solidarietà di prossimità, in questo senso, non può che cogliere l’essenza e lo spirito della Costituzione».

 

Parliamo di risorse. Come sostenere il sistema del welfare?

«Ormai è una conquista per certi versi universale, sicuramente condivisa, la visione secondo cui anche e soprattutto nelle associazioni di volontariato e più in generale nelle associazioni non profit i criteri di sana gestione economica devono essere applicati più ancora che nelle imprese per una ragione molto semplice: se un’impresa non rispetta questi criteri, il mercato provvede alla sua eliminazione; se si tratta di un’associazione che non agisce sul mercato, i meccanismi di correzione automatica funzionano molto meno. Prima ancora che per questa considerazione, le risorse utilizzate in modo non efficiente in un’organizzazione di volontariato rappresentano uno spreco maggiore che non nell’impresa perché sono destinate a soddisfare esigenze che sicuramente meritano più attenzione».

 

Cosa occorre in definitiva?

«L’aiuto andrebbe ricercato in una sorta di rivoluzione culturale. Noi siamo prigionieri di una logica ottocentesca in cui attribuiamo i valori con un metro monetario. Se potessimo liberarci di questa logica e attribuire e condividere i valori prescindendo dai metri monetari del mercato, cosa che è stata fatta nella storia dell’umanità prima dell’affermazione dell’economia di mercato, si creerebbe un ambiente più favorevole per lo sviluppo delle associazioni di volontariato. Su questo possono fare molto non solo lo Stato ma anche gli altri enti locali agendo sulla leva fiscale con una serie di agevolazioni e incentivazioni. Ma, oltre alla leva fiscale, il vero plusvalore può essere rappresentato dal riconoscimento del valore di un gesto che nella logica ottocentesca chiameremmo di generosità e in una logica da XXI secolo di responsabilità civile. In questo senso si potrebbe creare un ambiente molto più fertile per queste organizzazioni».

Nicola Catenaro

di Nicola Catenaro

mercoledì 28 Dicembre 2011 alle 10:20

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