I cittadini di Opi “abusivi” a casa loro
Svegliarsi e scoprirsi occupanti abusivi della propria casa. Per gli abitanti di Opi, paese dell’Aquilano situato al centro del Parco nazionale d’Abruzzo, l’incubo che agitava i sonni degli avi è diventato realtà. La verifica demaniale, avviata dal Comune in ossequio a una legge regionale del 1988 e conclusasi solo di recente, ha accertato che quasi l’intero territorio di Opi apparteneva ai Borbone ed è passato successivamente nella proprietà dello Stato.
È scritto nel catasto onciario di Napoli, risalente al Settecento. I proprietari di appartamenti e terreni dovranno ora pagare un obolo all’amministrazione comunale per legittimare un diritto , tramandato di generazione in generazione, che pensavano fosse acquisito.
C’è chi pensa che il Comune di Opi colga questa occasione per fare cassa, dato che il conto chiesto ai discendenti dei Borbone, dopo oltre due secoli, non è di scarsa entità. Il prezzo da pagare una tantum per «riscattare» un’abitazione costruita su area demaniale, infatti, può aggirarsi anche sui 200 euro al metro quadrato. I cittadini non ci stanno e hanno costituito un comitato che rivendica da mesi una sanatoria contro quella che chiamano «rivalsa ai prezzi di mercato» sui terreni. «Nella maggior parte dei casi – afferma Alberto D’Orazio, coordinatore del comitato dei cittadini, i quali hanno deciso di rivolgersi a uno studio legale – si tratta di persone che hanno acquisito il diritto di proprietà tramite regolari atti di successione e che ora, per motivi di lavoro, risiedono altrove. Il legame con le proprie radici li ha spinti ad investire nella ristrutturazione di immobili che hanno due secoli di storia. Interventi che sono stati regolarmente autorizzati, nel tempo, dallo stesso Comune. Su questi immobili, inoltre, hanno pagato con regolarità le imposte. Dopodiché, si scopre che sono occupatori abusivi. Una cosa ridicola visto che quelle aree sono edificate da duecento anni e hanno quindi perduto da tempo immemorabile le caratteristiche di demanialità».
Il sindaco, Berardino Antonio Paglia, rigetta le contestazioni, sottolinea di portare avanti l’operazione perché la legge glielo impone e fa sapere di essere lui stesso in attesa della legittimazione dei suoi diritti di proprietà. «La verifica è partita nel 2001 quando il sottoscritto non era stato ancora eletto – spiega –, ed è sfociata nella richiesta di legittimazione dei terreni tramite l’iter del cambio di destinazione d’uso (procedura contestata dal comitato, che chiede invece la cosiddetta sclassificazione dei cespiti, ndr). È la legge che lo prescrive e la demanialità, si sa, non può essere oggetto di usucapione. In ogni caso abbiamo previsto abbattimenti dell’importo dovuto da un minimo del 40 a un massimo del 90 per cento e il pagamento può avvenire anche ratealmente».
Il caso di Opi appare paradossale ma non è raro in una regione, come l’Abruzzo, in cui il demanio si estende su porzioni vaste di territorio. Un fenomeno che interessa soprattutto le zone montane. Gli abitanti di Rocca Santa Maria, comune situato in provincia di Teramo, dopo oltre duecento anni di silenzio pressoché ininterrotto da parte delle autorità, hanno scoperto che potrebbero essere definiti occupanti abusivi di quelle che considerano le proprie case e le proprie terre. La comunicazione è giunta nel corso di un’infuocata assemblea pubblica al termine della quale si è sfiorata persino la rissa. Ora il Comune ha chiesto alla Regione Abruzzo di sospendere la pubblicazione della verifica in attesa di ulteriori riscontri. Federico Roggero, docente di storia del diritto medioevale e moderno e consulente del Comune e dell’amministrazione separata di Rocca Santa Maria, invita tutti gli interessati a un atteggiamento più sereno: «La verifica attiene aspetti tecnici – dice – e va risolta nell’ambito di un approfondimento storico e giuridico e non in una dialettica politica».
Nicola Catenaro
Pubblicato il 28 settembre 2012 su Corriere.it
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