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«L’attore è il sacerdote delle nostre debolezze»

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Giacinto Palmarini (foto di Marcello Norber)

È uno dei pochi teramani che, a soli 42 anni, può vantare già un proprio profilo su Wikipedia. È attore, per scelta ma anche per vocazione, uno dei più apprezzati tra quelli che calcano i palcoscenici italiani.

Lo abbiamo incontrato per capire due o tre cose che poco hanno a che vedere con la sua carriera. Ha appena finito “Questa sera si recita a soggetto” di Pirandello con Mariano Rigillo e Anna Teresa Rossini. Riprenderà a recitare il 26 febbraio, a Bologna, nell’Antigone del regista partenopeo Luca De Fusco (un Antigone dei nostri giorni, che stacca i tubi di un malato terminale collegato da tredici anni a un respiratore), e sempre con De Fusco debutterà a giugno al Napoli Teatro Festival nello spettacolo “Antonio e Cleopatra”, nella parte dell’antagonista di Antonio, Cesare Ottaviano.

Palmarini durante l'intervista

Giacinto Palmarini, che significa per lei essere attore?

«Rappresentare una tara. Anzi, una serie di tare comuni. L’attore è una sorta di sacerdote delle debolezze di persone che hanno più o meno le stesse tare. Fare l’attore serve a dare il coraggio di superarle».

Come si diventa attori?

«Io non lo so con certezza. Qualche tempo fa, a Firenze, parlai con un ragazzo autistico che mi chiedeva se attori si nasce o si diventa. Io gli risposi che a Teramo di teatro non ne avevo potuto vedere, fin quasi ai venti anni, perché non c’era una grande cultura teatrale. Però, gli dissi, mi ci sono sempre sentito molto familiare».

Un sentimento innato.

«Sì, evidentemente. Nell’uomo la voglia di rappresentarsi è innata».

Sì, ma il percorso che si fa qual è?

«Non ha molto senso parlare di come si diventa attori nella nostra società, nel senso del riconoscimento sociale voglio dire. Lo si può essere facendo i più svariati mestieri. Occorre studiare, però, lavorando e andando via da casa».

Giacinto Palmarini (a destra) in scena

Perché andare via da casa è necessario?

«Perché l’attore, o comunque un artista, è vicino alle ritualità che appartenevano antropologicamente ad ogni tribù. Un uomo, per diventare uomo, deve essere lasciato solo nella foresta. E poi tornare uomo al villaggio».

Le tappe che hanno portato Giacinto Palmarini a diventare uomo, cioè attore.

«L’appetito mi è venuto frequentando i laboratori di Silvio Araclio, qui a Teramo, nel mitico ‘Spazio Tre’ che ha dato tanti artisti a questa città. Poi ho fatto l’esame per entrare in Accademia (l’Accademia nazionale d’arte drammatica Silvio D’Amico, ndr), sono stato selezionato e ho studiato lì per quattro anni. Quindi è iniziata la mia gavetta, pesantissima, nelle cantine romane, fatta di lavoro molto spesso gratuito».

Cantine?

«Io le chiamo cantine, sono in realtà i teatri off, perlopiù sottoscala molto dignitosi dove gli attori hanno la possibilità di esprimersi senza dover passare attraverso filtri politici».

Quanti spettacoli faceva all’anno?

«Sette, otto spettacoli all’anno per tre, quattro anni».

Con chi lavorava?

«Ho iniziato con Marco Maltauro, quindi sono passato a Maurizio Scaparro con il quale ho fatto prima Mercuzio in ‘Romeo e Giulietta’ e poi il ‘Don Giovanni’ come protagonista. E da lì è partito tutto il resto, compresa la collaborazione con Ronconi e tanti altri. Ho lavorato praticamente con tutti, mi è sfuggito solo Castri che ormai, purtroppo, è morto».

Palmarini in "prova"

Quale di queste esperienze è stata più importante?

«Lo spettacolo che mi ha dato molto e che mi ha fatto cominciare ai massimi livelli è stato il ‘Romeo e Giulietta’ di Scaparro, con il quale ho avuto un successo di pubblico e di critica notevole».

Ha lavorato anche nel cinema e nella televisione.

«Sì,  ho lavorato in alcuni film come il ‘Pontormo’ con Joe Mantenga, poi sempre per la televisione ‘Il giovane Casanova’. Per il cinema la prima cosa che ho fatto da protagonista è stata ‘La verità vi prego sull’amore’ con Pierfrancesco Favino e un po’ di televisionaccia schifosa che ora ho iniziato a rifiutare abbondantemente».

Perché?

«Perché in Italia non esiste una vera industria della televisione. Ci sono prodotti televisivi che hanno fatto epoca, in altri Paesi ma non nel nostro. Ma in quei Paesi esistono competenze diverse. In Italia si scrivono delle sceneggiature imbarazzanti da parte di persone che non sanno scrivere,  c’è molto clientelarismo, tanta presunzione e, soprattutto, tanta, tanta ignoranza».

Magari si guadagna di più?

«No, affatto, se si considera che per fare quattro giornate di lavoro ti chiedono due mesi di disponibilità».

Essere attori significa rischiare di identificarsi con i propri personaggi?

«Tutt’altro. C’è da dire innanzitutto che per fare questo mestiere bisogna essere molto centrati e conoscersi molto bene. E, soprattutto, avere la spudoratezza di denudarsi. Non bisogna avere l’arroganza di pensare che certe cose non ci riguardino: ogni aspetto saliente del personaggio in qualche modo ci appartiene».

Sembra essere un esercizio liberatorio.

«La maggior parte delle volte lo è, sì. E soprattutto ti fa acquisire una capacità di comprensione che, secondo me, distingue l’uomo colto da quello che non lo è. È la capacità di capire gli uomini in tutte le sue debolezze».

Un attore, per essere tale, rinuncia a qualcosa?

«Non ho mai vissuto la mia scelta come una rinuncia. L’unica grande rinuncia sarebbe quella di fare a meno dal mio lavoro. Un lavoro che fa parte di me e che in qualche modo sento che mi ha salvato da qualcosa, non so da cosa ma me lo sento».

Gli attori rischiano di non riuscire a guadagnarsi da vivere?

«Ci sono tanti attori a spasso ma, se guardo alla mia esperienza, io guadagnavo già quando molti miei coetanei erano praticanti negli studi legali».

Con qualche rischio in più, forse.

«Ma non è questo il punto. Il punto è che bisogna semplicemente seguire la propria strada, al di là delle considerazioni sul fatto che un giorno ci potrai vivere oppure no».

 

Nicola Catenaro

(Intervista pubblicata su “La Città” del 7 febbraio 2013)

Giacinto Palmarini (foto di Marcello Norbert)

di Nicola Catenaro

giovedì 07 Febbraio 2013 alle 23:44

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