Se il teatro diventa la nostra scuola di vita
Dalla sua scuola, Spazio Tre, provengono attori che calcano oggi le scene nazionali. È stato protagonista di uno sperimentalismo che viene ricordato nei libri di storia del teatro. È amico di registi, attori e scrittori di fama. I suoi spettacoli hanno sempre successo. Il segreto? Ha sempre fatto ciò che voleva fare. Anche il giramondo, per un periodo. E la sua scuola è diventata un serbatoio di energia culturale, un trampolino per la formazione di attori e la“rigenerazione” di tanti cittadini. Ecco un ritratto di Silvio Araclio, teramano di nascita, romano di adozione, leccese per affetto e origine paterna.
Silvio Araclio, come inizia il suo rapporto con il teatro?
«Da ragazzino, attorno ai sedici anni, con qualcuno più grande di me sicuramente, poi per aver visto una serie di spettacoli del Teatro Popolare con Elvano Alberico, scomparso di recente, una figura molto importante nel panorama teatrale regionale».
Ci fu un’occasione, un incontro particolare?
«Mi ricordo che da bambino molto piccolo, nella zona dei Tigli dove abitavo, sistemavano d’estate un tendone molto grande dov’era possibile assistere a commedie, drammi. Cercavano un bambino, sgomitando mi proposi e feci la mia prima parte in una commedia di Pirandello. Dovevo semplicemente tuffarmi nelle braccia di una donna bionda e gridare: mamma, mamma, dov’è la mamma …?».
Cosa l’attirava verso il teatro?
«Inizialmente era un puro divertimento. Mi piaceva recitare, organizzare… C’era poi mia mamma che aveva un senso della teatralità molto accentuato. Sono vissuto in una famiglia molto fortunata dal punto di vista degli stimoli».
Deve un grazie a qualcuno per la sua formazione?
«Ricordo con affetto un prozio, che mi ha fatto da nonno, don Domenico Ciccarelli, una figura piuttosto significativa nel panorama politico di sinistra. Un comunista storico, fu vice sindaco e vice presidente dell’amministrazione degli ospedali. Era insegnante e giornalista e viaggiò in tutto il mondo. Fondò la libreria La Scolastica nel 1907. Una via a Teramo lo ricorda. Anche grazie a lui, sono cresciuto in mezzo ai libri».
Che rapporto c’è stato, nella sua vita, tra i libri e il teatro?
«Sono stato sempre un gran lettore, per via della mia curiosità e della mia passione per le storie. Lo stimolo a fare teatro, dunque a voler parlare attraverso i testi sul palcoscenico, è altra cosa. È una forma di comunicazione, la più antica insieme alla poesia».
Concretamente, quali sono stati i suoi primi passi?
«Ho fatto tanto teatro sperimentale e amatoriale, soprattutto all’inizio, senza sapere niente, senza domandarmi il perché o il percome né chi vi fosse in giro. In una città che, negli anni Sessanta, mi creda, era un paesetto, anche piuttosto povero dal punto di vista culturale. C’era un unico fermento intellettuale, quello del ‘Circolo Gramsci’, che portava a Teramo scrittori, poeti, pittori. Mio padre fu segretario del Circolo, ricordo alcuni di questi personaggi a cena a casa nostra…».
Il teatro, quello professionale, iniziò lontano da Teramo.
«Iniziai l’Università e contemporaneamente feci il provino per regia in Accademia, a Roma, dove frequentai per due mesi in qualità di auditore. Dopodiché decisi di iscrivermi alla prestigiosa scuola del drammaturgo Alessandro Fersen, il cui metodo è uno dei più significativi del secondo Novecento. L’anno scorso ho avuto l’onore di dirigere al Piccolo Eliseo uno spettacolo, prodotto proprio dall’Accademia Silvio D’Amico, che ricordava il maestro».
Si trasferì a Roma, quindi…
«Certo. Ho vissuto a Roma, abitavamo io e mio fratello in una mansarda da cui vedevo i giardini del Quirinale. Erano anni splendidi, avevamo una grande vita di relazioni. Ricordo Raffaele Curi, Anna Bonaiuto, Samuele Cerri paroliere di Mina, Ray Lovelock… e tanti altri. Ho vissuto a Roma ad intermittenza fino agli anni Novanta».
Quando è diventato regista?
«L’ho sempre fatto, mi sono sempre inventato di esserlo… sin da quando iniziai l’attività teatrale a livello amatoriale».
E la scuola di teatro come nacque?
«Nel 1980, dopo aver occupato insieme ad altri uno spazio in vicolo degli Ulivi, molto bello, che in seguito il Comune ci concesse per un periodo, decisi di dar vita a una scuola di teatro. Erano gli anni in cui facevo spettacoli molto complessi, diventando protagonista dello sperimentalismo che viene ben ricordato nel libro La storia del teatro in Abruzzo di Franco Celenza».
Come si riconosce il talento di un attore?
«Sono due gli elementi che lo distinguono: l’innata capacità di comunicare, ovvero una grande forza interiore, che va conosciuta, riconosciuta e addomesticata; e poi la capacità di far valere il tuo talento, l’indomita energia che ti permette di continuare, di non darti mai per vinto».
Lei ha una freschezza invidiabile, dunque non sarebbe giusto invitarla a fare un bilancio della sua carriera. Tuttavia, se guarda indietro, è soddisfatto?
«Il mio amico Lorenzo Salveti, direttore dell’Accademia Silvio D’Amico, mi dice sempre che io faccio quello che voglio fare. Ha ragione. Sarà per via del fatto che non sono particolarmente ambizioso e sono persino geloso del mio tempo, sono soddisfatto di aver fatto più o meno le cose che volevo fare. E di svegliarmi ogni mattina curioso di sapere cosa accadrà e non cosa è accaduto».
CHI È Silvio Araclio
Allievo del Centro di Arti Sceniche di Alessandro Fersen, consegue contemporaneamente la Laurea in Giurisprudenza. È fondatore e direttore artistico dell’Associazione Culturale Spazio Tre a Teramo e dirige dal 1980 il Laboratorio Teatrale Spazio Tre a Teramo dove è docente di Laboratorio di Comunicazione Teatrale nella Facoltà di Scienze della Comunicazione.
È ideatore e direttore artistico dal 1991 di Maggio Fest, festival di cinema, musica, teatro e danza e dal 1996 di Scena d’autunno, rassegna di teatro e musica da camera, prodotti da Spazio Tre a Teramo e con Daniela Attanasio di TERAMO POESIA Osservatorio sulla poesia moderna e contemporanea.
Ha curato numerose regie liriche ( Il matrimonio segreto di Cimarosa, Agenzia matrimoniale di Hazon e Una domanda di matrimonio di Chailly, I Pagliacci di Leoncavallo, Il Trovatore di Verdi, La Bohème di Puccini…) per le stagioni di Fondazioni all’Opera, in Abruzzo e nelle Marche.
Tra le principali regie teatrali: La tempesta di W. Shakespeare; Ubu Re di A. Jarry; Il drago di E. Schwarz; I Cenci di A. Artaud; Orsolina, un processo per stregoneria nel teramano nell’A.D. 1612 di S. Araclio e G. Pedretti; Le serve di J. Genet; La Filosofia nello spogliatoio e altre scelleratezze di De Sade; Una vita sta passando di Daniela Attanasio dall’opera di Sylvia Plath e Ted Hughes…
(Articolo pubblicato su “La Città quotidiano” del 7 marzo 2013)
Grande Silvio Araclio, ho avuto il piacere di seguire i suoi corsi da ragazzo ed adesso ho il piacere, ancora più grande ,di averlo tra i miei amici teramani, che mi rendono orgoglioso…Bell’articolo.
Filippo Flocco
Filippo Flocco
11 Mar 2013 alle 18:53 edit_comment_link(__('Modifica', 'sandbox'), ' ', ''); ?>