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Mieli e Civitella: «Bellezza unica al mondo»

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Paolo Mieli

Per chi scrive non è soltanto un’icona del giornalismo. È anche un punto di riferimento per interpretare la realtà e i fatti che ci accadono intorno. Intervistare Paolo Mieli, presidente di Rcs Libri e storico direttore del Corsera, è dunque un privilegio ma anche un’occasione unica per capire dove sta andando l’informazione, come cambiano i giornali, come e quando si è (o si può diventare o tornare ad essere) giornalisti liberi. Lo incontriamo a Civitella del Tronto, in occasione del convegno su stampa e potere organizzato insieme al governatore abruzzese Gianni Chiodi. Mieli non nasconde la sua passione per il borgo teramano e per la bellezza delle terre che guardano il Gran Sasso. «Il panorama che si scorge lungo l’autostrada che va verso L’Aquila, prima di imboccare il traforo, quando giri la testa e vedi il mare, è uno dei più belli al mondo», confessa prima delle nostre domande.

Presidente Mieli, parliamo di stampa e potere: in Italia è un rapporto perverso?

«Sì, è un rapporto perverso perché in tutti i Paesi la stampa è nata intorno al 1600 – in realtà qui, nello Stato Pontificio, c’era sotto forma dei cosiddetti avvisi, fogli di carta che raccontavano più o meno le vicende di Roma – è nata, dicevo, come strumento del potere. E la storia della libertà di stampa, e della ribellione ad essere strumento del potere, è stata soprattutto una storia del mondo anglosassone e francese, cioè centroeuropeo, di Inghilterra e Francia, alla quale la stampa italiana ha aderito. Ma bisogna sempre ricordare che da noi il potere, anzi i poteri nel senso del potere economico, del potere politico e di quello religioso, hanno sempre cercato di sovrastare l’informazione e spesso, purtroppo, ci sono riusciti».

Come si fa a essere un giornalista libero?

«Per essere un giornalista libero bisogna essere dentro un’impresa che ha un suo profitto, cioè riuscire ad incontrare un pubblico e guadagnare. Non è che i giornalisti italiani non siano liberi perché a loro piace essere a servizio. Ma si mettono a servizio perché non hanno i mezzi per mandare avanti le loro imprese e i giornali vanno male e, quindi, cercano di essere sovvenzionati. Bisogna trovare un rapporto virtuoso economico con il proprio pubblico, non avere paura della dimensione del guadagno. Solo un giornale o un mezzo d’informazione ricco può essere libero perché può sfidare i poteri senza temerne le ripercussioni negative. E, nello stesso tempo, bisogna che un’impresa editoriale sia non come oggi un’impresa che fa capo a poteri economici, che non hanno la loro principale attività nell’editoria, ma in mano a editori. Quindi editori e giornalisti, e parlo sia della stampa che della televisione, della radio e di Internet, i quali riescano a coniugare il loro lavoro in modo virtuoso, cioè ad arricchirsi, a fare dei soldi, quelli saranno liberi».

Tra dieci anni, secondo lei, i quotidiani saranno ancora di carta o solo web?

«Saranno soprattutto web e di quello che verrà dopo il web. Perché, mentre stiamo parlando, qualcuno starà già pensando a mezzi successivi. La verità è che sta accadendo alla carta stampata quello che è accaduto al teatro tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Il teatro, per duemilacinquecento anni, era stato l’unico mezzo di espressione e tutti pensavano che non si potesse prescindere dal teatro. Poi, con l’avvento del cinema e successivamente della televisione, è stato relegato in un ruolo di eccellenza e di secondo piano. Per cui, se devo immaginare l’informazione tra venti o trent’anni, immagino che i giornali di carta sopravvivranno come i nostri teatri e saranno basati soprattutto sulla qualità, con dimensioni ridotte ma ancora possibilità di guadagno, e il grosso dell’informazione sarà sulle nuove tecnologie».

 

Paolo Mieli e Gianni Chiodi durante il convegno su stampa e potere

Oggi si parla anche di iperlocalismo oltre che di informazione locale, cioè della possibilità di conoscere tutto ciò che accade nel singolo quartiere anche grazie al citizen journalism e ai blogger. Ma è vero giornalismo?

«Sì. Anzi, penso che quello sia il futuro del giornalismo. Perché penso che giornalisti che a Civitella del Tronto, e dico Civitella per dire qualsiasi altro paese, pensino di fare, come si pensava fino a pochi anni fa, informazione parlando della Cina o di problemi diversi da quelli locali, siano meno credibili dei giornalisti che danno un’informazione sul posto in cui vivono, sui problemi e sulle novità del posto in cui vivono. Si tratta non di dare notizie alla rinfusa ma di saperle gerarchizzare. Il tema di questa serie di conferenze che sto facendo su stampa e potere è che il vero potere della stampa è nella gerarchizzazione delle notizie. Internet contiene tutto, è un mare magno. E solo chi acquista autorevolezza per mettere in ordine il primo, il secondo e il terzo tema della giornata, solo quello detiene il potere dell’informazione. E questo vale anche per le piccole e le micro realtà».

Civitella perla di un Abruzzo forse ancora da scoprire?

«Civitella del Tronto è una delle città storiche più importanti nella storia d’Italia, l’unica città che ha resistito ai Savoia fin dopo la costituzione dello Stato unitario, un posto di una bellezza unica al mondo. Non a caso sono venuto a Civitella a fare la prima e la più importante di queste conferenze e non a caso noi stiamo parlando qui».

CHI è PAOLO MIELI

Figlio di Renato Mieli, tra i fondatori dell’Ansa, nasce a Milano nel 1949.  Studia e si laurea alla Sapienza con Renzo De Felice, di cui diviene assistente con una tesi sul fascismo. Giovanissimo, intraprende anche la strada del giornalismo a L’Espresso, allora sotto la direzione di Eugenio Scalfari. Al settimanale di via Po, Mieli rimane per diciotto anni prima di passare a Repubblica e poi a La Stampa. Che diventa la sua prima direzione, dal maggio 1990 al settembre 1992. Passa alla guida del Corriere della Sera il 10 settembre del 1992, all’inizio del periodo di Tangentopoli.

La prima direzione di Mieli al Corriere della Sera finisce nel maggio 1997, quando assume la carica di direttore editoriale di Rcs. Da quel momento ha posizioni di rilievo nel gruppo fino a diventarne vicepresidente, pur non perdendo mai il contatto con il giornalismo: prima con le pagine nella sezione “Società e Cultura” de La Stampa, poi con le risposte alla posta dei lettori – nello spazio che era di Indro Montanelli – sul Corriere.

Richiamato alla direzione del Corriere della Sera nel dicembre 2004, governa l’introduzione del colore in tutte le pagine e il cambio di formato (luglio 2005). L’11 marzo 2006, a due mesi dalle elezioni politiche, schiera pubblicamente il giornale dalla parte di Prodi e contro Berlusconi e la Lega, al punto di augurarsi, all’interno di una sconfitta del centrodestra, una crescita dei partiti «guidati da Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini», cioè An e Udc. Una presa di posizione che suscita aspre polemiche, non solo tra gli esponenti della Casa delle Libertà, a causa dell’abbandono del cosiddetto “terzismo” da parte della testata. Dal 2009 è presidente di Rcs Libri.

Nicola Catenaro

Intervista pubblicata su “La Città” del 25 luglio 2013

di Nicola Catenaro

venerdì 26 Luglio 2013 alle 6:41

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