Un pittore che ama il pastello e odia le cornici
Marino Melarangelo è un pittore che apprezzo molto e che avrei voluto intervistare da tempo. Mi pento di non averlo fatto prima perché, solo ora, ho avuto la possibilità di scoprire un artista profondo, consapevole, alla continua ricerca di sé. Ho anche visitato il suo studio, dove l’arte di famiglia trasuda da ogni angolo, e ammirato i suoi lavori. Che mettono al bando i colori e danno spazio solo alla miscela di bianco e nero. La sua pittura, originalissima, è puro sogno ma non potrebbe fare a meno della realtà da cui sempre prende spunto.
Marino Melarangelo: artista, pittore, personaggio eclettico… come possiamo definirla?
«Io sono un pittore e spero di poterlo dimostrare attraverso una produzione che possa dare sostanza a un titolo che, in qualche modo, io ho anche grazie al fatto di essere il figlio di Sandro e il nipote di Giovanni, due nomi di artisti molto noti in città».
Che rapporto ha con l’arte di suo padre e di suo nonno?
«Sono artisti talmente diversi tra di loro. Mio nonno, che aveva una personalità molto forte e molto ben definita, può essere ascritto nella corrente del Novecento, una pittura che possiamo chiamare post impressionista e che in Italia si è affermata attraverso gli artisti della cosiddetta scuola romana. Mio padre, completamente diverso da mio nonno, è un artista che si è sempre impegnato nel sociale ed ha accompagnato la sua attività di artista con quella di politico. Io, a mia volta, sono estremamente diverso da entrambi».
C’è qualcosa che vi accomuna?
«Direi la pittura, il mestiere, un’aderenza alla realtà e alla rappresentazione iconografica con tutte le distinzioni che all’interno di questa categoria, l’iconografia appunto, si possono fare tra mimesi della realtà e aderenza a tematiche che attraverso il reale indicano una serie di contenuti. Guardando alla storia del Novecento, la mia può essere considerata quasi un discorso interno al linguaggio».
Quali sono i suoi riferimenti?
«De Chirico, la pittura metafisica, il surrealismo, Magritte in modo particolare. Ma, ecco, non c’è in me una predisposizione all’analisi della realtà, dell’esistente. C’è, al contrario, qualcosa che potrebbe avere a che vedere più con lo spirituale».
L’iconografia, però, rimane il punto di partenza…
«Non potrei mai prescindere dalla rappresentazione di una figura, anche se poi la stessa è decontestualizzata, contraddetta, descritta in maniera tale da non essere più riconoscibile come realistica. Più che la realtà, quindi, la realtà rappresentata dalla pittura, il linguaggio dell’arte plastica che è l’iconografia».
Ha frequentato il liceo artistico a Teramo e poi l’Accademia a Roma. Ha imparato di più in quale delle due scuole?
«Al liceo, senza dubbio. Oggi le Accademie non insegnano più granché. Un liceo artistico può essere molto più formativo con la sua pratica del fare, del disegno».
C’è un insegnante che ricorda più di altri?
«Nicola Sorgentone, al liceo, un grande insegnante con un talento straordinario e grandi doti umane».
Oggi un artista riesce a guadagnarsi da vivere con la propria arte?
«Evidentemente qualcuno ci riesce, ma sono veramente in pochi a potersi sostenere con il proprio lavoro. Gli altri si devono arrangiare. Un artista non può che misurarsi con le contingenze del reale attraverso un lavoro normale…».
«Ho avuto la fortuna di seguire un corso di abilitazione all’insegnamento, sono precario e ogni tanto mi capita di fare delle supplenze».
Che tecnica e che strumenti usa per dipingere?
«Ho sempre prediletto il pastello su carta o su tavola, che ha necessariamente bisogno di una protezione in vetro o plexiglass. Voglio dire che i miei quadri devono essere incorniciati, altrimenti rischiano di deteriorarsi».
Non ama molto le cornici, o sbaglio?
«Non sono riuscito a incorniciare tutti i miei quadri, alcuni dei quali si sono deteriorati o sono andati distrutti. E poi devo dire che spesso le cornici costano molto…»
Di cosa ha bisogno un pittore per essere un artista e che rapporti può avere con la società del proprio tempo?
«Sembra strano ma, oggi, per essere un artista in ambito figurativo, voglio dire un pittore da cavalletto, un installatore o un performer, un pittore ha bisogno di grandi sponsor e, se non partecipa a grandi iniziative o non è curato dal personaggio che detta le regole del mercato o del giudizio estetico sull’opera o su quella tale corrente artistica o su una temperie culturale che viene ad affermarsi in un determinato momento, ha poche possibilità di esprimersi nella società o di condizionarla».
Cosa accade oggi agli artisti che non si trovino nelle condizioni che lei ha citato?
«Accade che non hanno molte opportunità di confrontarsi con un pubblico».
E i musei?
«I musei, se ci sono, sono soggetti a un certo tipo di gestione, se vuoi di controllo, una selezione a monte che dipende da molti fattori».
È possibile secondo lei superare questi ostacoli?
«Mah, non c’è modo. È come voler produrre un film. Per farlo, occorrono molti soldi e c’è bisogno di tanti appoggi, di tante condizioni. Il che vuol dire non proprio compromettersi con quello che c’è al di fuori dello studio, della ricerca pura, ma quasi. C’è chi ci riesce, ma forse occorre essere giovanissimi per poter sostenere questo fardello. Bisogna creare delle relazioni tra chi è disposto a comprare i tuoi quadri e chi è in grado di valorizzarli. Un lavoro molto impegnativo, molto vicino all’ottica attraverso la quale si gestisce un’impresa di qualsiasi tipo».
Un lavoro molto lontano da quello di un artista, per esempio da lei?
«Assolutamente sì».
E quindi come fa un artista a sentirsi realizzato?
«Il sentirsi realizzato non passa necessariamente per il riconoscimento pubblico. È l’aver fatto un quadro, un lavoro che ti soddisfa e che ti dà compiutezza. Ecco, le mie più grandi soddisfazioni sono quelle di trovare strategie per realizzare opere compiute».
Chi è il pittore in definitiva?
«Un artigiano con una libertà smodata che può permettersi anche di fare delle cose non necessariamente utili ma che, tuttavia…»
Tuttavia?
«Tuttavia dovrebbero suscitare delle emozioni, toccare le corde dell’emotività, dell’intelligenza».
Dunque alla fine sono utili?
«Sì, certo, utili in altro modo».
CHI E’
Nato a Teramo nel 1974, vive e lavora tra Teramo e Roma. Diplomato all’Accademia di Belle Arti di Roma, si è successivamente specializzato presso l’Accademia di Belle Arti de L’Aquila. Ha ottenuto il Diploma di Perfezionamento in Arte Sacra Contemporanea frequentando la Fondazione Stauros di San Gabriele nel Corso di Perfezionamento in Arte per la Liturgia. È abilitato all’insegnamento di materie artistiche nelle scuole superiori. Numerose le esposizioni in Italia e all’estero. La prima collettiva a Roma, nel 1991, con “L’uomo e il lavoro” presso il Centro San Giuseppe Artigiano. Nel 1996, a Bologna, fa parte dei quindici artisti selezionati dalle Accademie di Belle Arti per “Cosmoprof”. Nel 2001 partecipa alla II° Biennale di Porto Ercole (Grosseto) nel Forte Stella; nel 2002, a Seul, ad “Arte Italiana in Corea”; nel 2004, a Parigi, al Centre La Villette, ad “Artisti per la Palestina”. Tra le più recenti, figurano la partecipazione del 2010 a San Gabriele (Teramo), presso il Museo Stauros, per “Cento artisti disegnano la Madonna di Onna”, e quella del 2011, a Venezia, per la 54° Biennale Internazionale. Ha illustrato vari libri tra cui “Lettere alla madre” di Edith Bruck, The Modern Language Association of America, New York.
Nicola Catenaro
Intervista pubblicata su “La Città quotidiano” del 3 ottobre 2013
Marino grande artista e bella persona.
Christian G.
1 Gen 2014 alle 18:46 edit_comment_link(__('Modifica', 'sandbox'), ' ', ''); ?>