Caso Pavone, i familiari: “Chi ha visto parli”
Nel reparto di Rianimazione dell’ospedale di Pescara, dov’è in coma da ben 44 giorni, risuonano “Alma Llanera” e i ritmi delle canzoni sudamericane a cui è affezionato per essere nato e aver vissuto da ragazzo a Caracas. I familiari hanno affidato alla musica la speranza di svegliare Carlo Pavone, l’ingegnere informatico di 42 anni colpito alla testa da un proiettile mentre buttava l’immondizia sotto casa, lo scorso 30 ottobre, un mercoledì, intorno alle 21. Un orario normale in una zona normalmente trafficata di Montesilvano: via De Gasperi, la strada che porta alla collina del comune pescarese.
La sorella, Adele, che, insieme alla moglie Raffaella e a tanti amici, veglia Carlo in ospedale (i genitori, anziani e con problemi di salute, sono ancora in Venezuela dove vivono insieme all’altro figlio), non riesce a capacitarsi che nessuno abbia visto o sentito nulla dalle 20,30, l’ora in cui il fratello scende in garage per andare a cercare le zucche di Halloween per i figli di 7 e 10 anni, al momento in cui due persone lo trovano agonizzante per terra, seminascosto da un mucchio di foglie dietro il cassonetto.
L’APPELLO – «Se c’è qualcuno che ha visto qualcosa, anche di apparentemente insignificante, che possa aiutare gli inquirenti a scoprire chi è stato a sparare, si faccia avanti. Fatelo soprattutto per quei due bambini che soffrono la mancanza del papà». Drammatico l’appello di Adele e del marito Ugo Longo, affidato a un video pubblicato dal quotidiano abruzzese “Il Centro”. Adele è convinta che, pur con le partite in corso in tv e le finestre delle abitazioni chiuse, è assai improbabile che quella sera nessuno abbia visto nulla. Spera che il suo appello e la sua preghiera possano servire a squarciare l’eventuale velo di omertà piovuto sul tentato omicidio del fratello. E intanto prega.
I MEDICI – I medici giudicano infatti ancora molto gravi le condizioni dell’ingegnere informatico, in coma da sei settimane. «Risponde alle sollecitazioni fisiche e apre e muove gli occhi – ci spiega l’avvocato Marino Di Felice, che segue il caso per conto della sorella – ma è in uno stato di incoscienza». Se Carlo si svegliasse all’improvviso, potrebbe forse spiegare il mistero fitto che avvolge la violenta aggressione che lo ha ridotto così. E, soprattutto, i dubbi dei suoi familiari circa l’assenza di testimoni. Dubbi che puntano sull’ora in cui è avvenuto il fatto, più o meno coincidente con il rientro a casa di molti residenti; e il luogo del ferimento, una zona non isolata con un bar nelle vicinanze. E poi c’è l’assenza, almeno apparente, di situazioni di odio o rancore nella sua vita.
IL PM – Al momento, nell’inchiesta affidata al pm Anna Rita Mantini, non ci sono indagati. Restano dunque in piedi tutte le piste, dalla rapina finita male al gesto di un folle o di chi, per ragioni sconosciute, riteneva che Carlo Pavone fosse una persona scomoda e dovesse essere eliminato. I carabinieri del reparto operativo del comando provinciale di Pescara, coordinati dal colonnello Giovanni Di Niso e diretti dal capitano Eugenio Stangarone, e quelli della compagnia di Montesilvano, agli ordini del capitano Enzo Marinelli, continuano ad esaminare i pezzi di un mosaico ancora indecifrabile. Si esaminano i tabulati telefonici e si cerca di ricostruire minuto per minuto la dinamica del tentato omicidio. Si è anche in attesa dei risultati delle indagini compiute dagli uomini del Ris.
NESSUN NEMICO – Le verifiche sul proiettile estratto dal cranio di Pavone e sul fucile Flobert calibro 9 sequestrato nelle scorse settimane al vicino di casa – un cacciatore che però ha detto di non aver mai avuto rapporti con la vittima e di trovarsi a casa del figlio in quel lasso di tempo – hanno rivelato una compatibilità di massima sia con il fucile sia con altre armi che utilizzano calibri leggeri. Potrebbe significare che a colpire l’ingegnere nei pressi del cassonetto (da una distanza, si presume, compresa tra cinque e dieci metri) non è stato comunque un killer ma qualcuno che ha agito, per impeto o per vendetta, con un’arma facilmente reperibile. «Carlo non aveva problemi economici, nessuna lite con i vicini, ma solo una vita normale, dedicata al lavoro e ai figli – ripete Adele – basta anche un solo particolare per aiutarci a risalire al responsabile».
Nicola Catenaro
Da Corriere.it del 15 dicembre 2013
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