Da Teramo a Singapore passando per il Giappone
C’è paese e paese. Ma di casa ce n’è una sola. C’è tuttavia chi, pur distinguendo i due concetti, si sente cittadino del mondo. E, privo di quella diffusa malattia che viene scambiata per attaccamento alle radici ma forse è più simile (banalmente) a uno stato di pigrizia mentale, va libero per il mondo perchè del globo intero e non di una parte di esso si sente a pieno titolo abitante. Uno di questi è Enrico Pelillo, un allegro e divertente professionista teramano che non ha avuto paura di aprire la propria mente quando di globalizzazione, soprattutto nel mercato del lavoro, non si parlava ancora. Lo abbiamo intervistato via facebook e così le sette ore di differenza a nostro svantaggio quasi non si sono avvertite.
Enrico Pelillo, un ingegnere teramano a Singapore. Di cosa si occupa?
«Dirigo un gruppo di ricerca che sviluppa prodotti per la bellezza per il mercato asiatico».
Da quanto tempo vive lì?
«Vivo a Singapore da circa un anno, ma sono in Asia da un bel po’. E’ stato il cuore a portarmi in questa parte del mondo, avendo sposato una donna giapponese che mi ha attirato nella sua terra d’origine».
Qual è stato il suo primo contatto con l’Asia?
«Il mio primo approccio con l’Asia è avvenuto tramite il Giappone che è diventato per me una vera e propria terra adottiva. Qui ho vissuto dieci anni e più, tutti meravigliosi. Da lì l’anno scorso mi sono spostato a Singapore».
Qual è stata la difficoltà principale che ha incontrato inizialmente in Giappone e cosa l’ha invece sorpresa positivamente dopo?
«Di primo acchito il Giappone ha presentato qualche ostacolo di tipo culturale, comportamentale e, ovviamente, linguistico. Ma con mia grande sorpresa, tutte le difficoltà si sono velocemente dileguate grazie all’immensa ospitalità che ho ricevuto dalla gente del luogo e, soprattutto, quando ho cominciato ad apprezzare e ad arricchirmi dei valori di quella cultura così diversa dalla nostra. In particolare, mi ha toccato subito l’estrema civiltà di quel popolo, la quale, fondamentalmente e indiscutibilmente, si basa sul profondo rispetto reciproco. Negli anni ho fatto miei quei valori e sono certo che li porterò sempre con me».
Cosa le manca di più dell’Abruzzo e dell’Italia e quante volte torna a Teramo?
«A parte famiglia e amici più stretti, che riesco a tenere in qualche modo vicini grazie alle tecnologie moderne, di casa mi mancano più di ogni cosa gli odori i sapori e i paesaggi, quelli che ti riportano indietro e riescono ancora a stringerti il cuore dopo tanti anni. Torno a Teramo una o due volte l’anno e ogni volta vado in cerca di queste piccole cose. Quando posso cerco di farle apprezzare ai miei figli e far sì che imparino a riconoscere i tratti più caratteristici delle loro radici italiane».
Quanti italiani incontra nel suo lavoro e cosa fanno di solito?
«Nel mio settore non ci sono molti italiani in Asia, anche se, in generale, nel campo della moda e della bellezza sappiamo ancora farci valere all’estero. Essendo una capitale dinamica e in forte espansione, diverse professionalità sbarcano a Singapore. Il profilo medio è quello di giovani manager con incarichi temporanei per conto di aziende in espansione in Asia, spesso nell’ambito di trasporti e logistica. Ci sono anche tantissimi bravi cuochi, poiché Singapore è un centro molto importante che riesce ad attrarre i migliori talenti del settore. La qualità del cibo italiano che si trova qui è davvero sorprendente».
C’è qualcosa nella cultura giapponese o asiatica in generale a cui non saprebbe rinunciare ora che l’ha conosciuta?
«Vivendo in Giappone, ci si abitua subito al rispetto altrui, alla qualità dei servizi, alla fiducia e alla squisita cortesia che si riceve da parte di tutti. È stampata nitidamente nella mia mente la foto dei tifosi giapponesi in Brasile che raccoglievano i rifiuti dagli spalti dopo aver assistito alla partita della propria nazionale di calcio. Mi sono adattato a quella cultura molto facilmente, trovandomi subito a mio agio. Di conseguenza, però, sono diventato più critico nei confronti di culture come la nostra dove ancora troppo spesso si accettano comportamenti chiaramente fuori dalle righe e, incredibilmente, sopravvive la regola del “vince il più furbo”».
La lingua: è stata o è ancora un problema per lei?
«A Singapore si usa l’inglese e ciò rende i contatti giornalieri piuttosto semplici. In Giappone invece predomina l’uso del giapponese che presenta le sue difficoltà. Fin dai primi tempi, ho preso la cosa come una sfida personale. Prendendo lezioni, praticando il più possibile e sfruttando un po’ il savoir-faire italiano, non ho mai avuto grossi problemi. Indubbiamente, l’infinita pazienza e l’enorme gentilezza del popolo nipponico mi hanno aiutato più di ogni altra cosa».
Forse è stato meno facile abituarsi a una diversa alimentazione, è così?
«Il cibo asiatico è ricco, gustoso e tutto da scoprire. Chi non la pensa così sicuramente non ha avuto modo di assaggiare i piatti migliori. Non deve sorprendere il fatto che il cibo giapponese si stia espandendo rapidamente in tutto il mondo per le sue caratteristiche di armonia, equilibrio e delicatezza. Personalmente, non ho cambiato i miei gusti nel tempo, li ho solo ampliati e ora godo immensamente della varietà dei cibi e sapori di questa zona. Provare per credere».
La sua famiglia giapponese cosa pensa dell’Italia? E vista da lì, come appare la crisi economica in corso nel nostro Paese?
«Dal di fuori tutti adorano l’Italia e qui in Asia, per fortuna, le nostre magagne interne arrivano piuttosto sfocate o un po’ a mo’ di vignetta. Forse è meglio così: ora più che mai abbiamo bisogno di mantenere un’immagine positiva all’estero. Detto ciò, la crisi economica è reale ed è ampiamente conosciuta, visto che riguarda non solo l’Italia ma tutta la zona Euro. Personalmente, vivo la crisi attraverso le storie di cari amici che, di giorno in giorno, stringono i denti nella speranza di tempi migliori. Sono però ottimista e voglio credere che la svolta non sia lontanissima».
Che suggerimento darebbe a un neo ingegnere italiano che volesse investire nel proprio lavoro? Partire come ha fatto lei o restare?
«Innanzitutto prepararsi psicologicamente ad un mondo lavorativo che, da quasi trent’anni, non ha più barriere nazionali. Poi, la voglia di mettersi in gioco, soprattutto nei primi anni di carriera, perché le migliori opportunità emergono sempre da situazioni complesse. Oltre ad avere solide competenze, in questo mondo così dinamico ed imprevedibile, flessibilità, fantasia e coraggio sono le caratteristiche essenziali di cui i futuri professionisti hanno assolutamente bisogno per emergere».
Tornerebbe mai in Italia?
«Mai dire mai! Nel frattempo continuerò a tornare in visita e a godermi le belle cose di casa».
CHI È
Nato e cresciuto a Teramo, Enrico Pelillo si laurea a pieni voti in Ingegneria Chimica a L’Aquila nel 1994. Dopo la laurea si trasferisce in Inghilterra dove si specializza in Fisica delle materie plastiche, conseguendo un Dottorato presso l’Imperial College di Londra nel 1997. Il suo lavoro viene pubblicato in diverse riviste scientifiche internazionali. Entra quindi nella Procter & Gamble in Inghilterra e si occupa da subito dello sviluppo di prodotti a largo consumo per i mercati dell’Est europeo e poi per quelli dell’America latina. Nel 2003 si trasferisce in Giappone dove, sempre per la P&G, segue lo sviluppo di prodotti per il mercato asiatico. Dal 2014 vive e lavora a Singapore, dove dirige un gruppo di ricerca e sviluppo nel settore dei prodotti per la pelle. Teramano verace, appassionato di viaggi, enologia, culture e usanze di tutto il mondo, è sposato con Junko e ha due bimbi che parlano (quasi) tre lingue.
Nicola Catenaro
Intervista pubblicata su “La Città quotidiano” del 19 febbraio 2015