Archivio per la categoria ‘Interviste’
«Vi racconto onde gravitazionali e futuro dell’Aquila»
Eugenio Coccia non è solo uno scienziato. Nella sua carriera, iniziata al fianco di Edoardo Amaldi, uno dei Ragazzi di via Panisperna (il gruppo di studio guidato dal premio Nobel Enrico Fermi), vanta anche esperienze da manager di centri di ricerca.
L’ultima in ordine di tempo è la direzione del Gran Sasso Science Institute, sorto a L’Aquila dove c’erano una volta le palestre dell’Isef e più di recente gli uffici della ricostruzione. Il presente della struttura è invece rappresentato da open space, biblioteche, sale riunioni. E dall’impegno di quasi un’ottantina di studenti provenienti da tutto il mondo.
«L’esperienza più strana? La radiografia a un pitone»
Romina Di Costanzo, quando e come è nata la sua passione per la medicina veterinaria?
«Sembrerà una banalità, ma fare il veterinario era davvero il mio sogno di bambina».
Come è diventata medico veterinario?
«Intanto l’inizio è stato un po’ travagliato; non posso parlare di una vera opposizione da parte dei miei genitori ma mio padre fino all’ultimo ha cercato di convincermi a studiare medicina. Non ce la vedeva una figlia a fare un lavoro che per lui sembrava duro, pesante e forse ai suoi occhi non così prestigioso. Ha tuttavia capitolato di fronte alla mia fermezza e ha poi sopportato grandi sacrifici insieme a mia madre per mantenermi agli studi».
L’avvocato “velista” che gareggia solo in serie A
Non è Sergio Valente il parrucchiere delle dive, scherza lui, ma Sergio Quirino Valente. Avvocato di quarta generazione: padre avvocato, nonno idem, persino il bisnonno esercitava la professione. “Avvocato velista” si definisce, ma è sempre la sua vena ironica a farla da padrone. Grande organizzatore, ha tre passioni fondamentali: la legge (di cui vive), lo sport e la musica.
Sergio Quirino Valente, iniziamo dall’uomo di legge. Come è diventato avvocato?
«Devo dirle la verità: nella mia testa non dovevo fare l’avvocato. Mio padre, per sua passione, mi aveva indirizzato verso due strade: la musica e gli studi di giurisprudenza. Così mi diplomai in pianoforte e mi laureai in legge. Ma la mia vita era la musica. E io onestamente pensavo che avrei fatto il musicista. A venticinque anni, però, mio padre morì e la mia vita cambiò. Rimasi con mio zio, anche lui avvocato. Ma sentii ugualmente una grande responsabilità sulle spalle. Era il 1980. Da lì è iniziata la mia carriera».
Chionchio, l’handball e quell’occasione sprecata
Qualche anno fa, a Milano, davanti a una gigantesca cotoletta, un collega mi disse: «Ah, sei di Teramo… Che fa ora il grande Chionchio?». Non sapevo rispondere e mi vergognai un po’. Non mi sono mai occupato molto di sport (basket a parte) e conoscevo solo di nome Franco Chionchio. Colpa mia. I giornalisti dovrebbero sapere tutto o quasi della propria città, osservarla in ogni sua espressione e conoscerne la storia. Nascosi l’umiliazione dietro l’orgoglio per il fatto che lui, Chionchio, avesse portato il nome di Teramo molto al di fuori dei confini regionali. Il collega, che allora dirigeva la redazione milanese di La7, mi parlò della sua ammirazione per l’ex capitano (e futuro allenatore) della Nazionale italiana di pallamano. È trascorso un po’ di tempo, credo di dovere questa intervista all’uomo e, forse, anche al giocatore.
«Il vino era il sogno di mio padre, io l’ho realizzato»
«Rigeneravo ganasce usate che poi vendevo alle officine meccaniche», racconta Nicola Di Sipio nella pace della sua tenuta, un’oasi di verde poco sotto Ripa Teatina, tra Chieti e Pescara. Da qui si vede anche il mare, una bellezza. Il futuro imprenditore parla di quando aveva 29 anni, un diploma di perito tecnico industriale in tasca e tanta determinazione. Cercava un lavoro, il “suo” lavoro. Non immaginava, Nicola, figlio di un mezzadro, dove sarebbe arrivato. E soprattutto che, a metà del percorso, i successi imprenditoriali gli avrebbero consentito di realizzare anche i sogni del padre: acquistare la tenuta dove lavoravano insieme e farne un gioiellino capace di produrre e vendere vini di qualità anche all’estero.
L’architettura è un sogno grande ventimila metri quadri
Lo confesso : non conoscevo Alessandro Spitilli (in verità conosco da sempre suo fratello Gianfranco, l’antropologo) e non sapevo che, nella cerchia non troppo ampia degli architetti italiani che si stanno facendo notare in Francia a fianco di grandi progettisti, c’è anche lui.
Alessando è preciso, per lui le parole valgono il significato che valgono. E servono a chi le pronuncia per non tralasciare nulla di sè, anche se costrette nella necessaria e sintetica economia di un servizio giornalistico. Considerate dunque la conversazione che segue una specie di autointervista coordinata alla meglio da chi scrive.
Mark Kostabi, 11 settembre prima e dopo
Lo schianto. Il fuoco e il fumo. I vetri che esplodono. L’acciaio che collassa. Le Torri, simbolo dell’America a stelle e strisce, che vengono giù sciogliendosi come burro. Il terrore. La consapevolezza di una debolezza mai così vicina e odiosa. L’11 settembre 2001 ha trafitto un prima e un dopo nel cuore della Grande Mela e di ogni cittadino degli Stati Uniti. Ce lo ricorda, a tredici anni di distanza dagli attentati che costarono la vita a circa tremila persone, Mark Kostabi, pittore e compositore, americano di nascita e italiano (si può ormai dire) d’adozione. A New York deve la sua fama artistica, ora apprezzata in tutto il mondo. Kostabi è di casa in Abruzzo e in particolare a Civitella del Tronto. Così, anche se lui è a Otranto quando risponde alle nostre domande, è come se questa chiacchierata si fosse svolta all’ombra del Gran Sasso.
«Il fanciullino non è come ce lo raccontano a scuola»
Francesca Florimbii è nata a Teramo ma vive e lavora a Bologna. Per amore (diremmo) di Carducci e Pascoli (che peraltro insegnarono nel suo stesso ateneo), dato che la sua attività di ricercatrice e docente di filologia della letteratura italiana si è da sempre indirizzata verso lo studio di questi e altri importanti autori italiani situati tra Ottocento e Novecento.
Il risultato sono un bel po’ di pubblicazioni che ruotano intorno a un argomento non facile ma molto affascinante. La incontriamo nella sua città di origine, alcuni giorni prima di convolare a nozze con il marito, bolognese, nella chiesetta di Castagneto dove si sposò anche la madre.
Chiarini, dall’Uomo Fiammifero al film con Cerami
Il regista? «È la lente deformante attraverso cui vedere la realtà. Partendo dalla realtà e tornando alla realtà». La definizione è del regista teramano Marco Chiarini, che incontriamo in un caldissimo pomeriggio di inizio luglio. Bastano pochi minuti, mentre sorseggiamo un caffè, per capovolgere le parti: è lui che cerca di intervistarmi. Fatico non poco per cercare di divincolarmi dal fuoco di fila delle domande. Marco soffre di una curiosità (nei confronti della realtà che lo circonda) superiore a quella di qualsiasi cronista. La stessa curiosità che lo ha portato a girare un lungometraggio come “L’Uomo Fiammifero”, che qualche anno fa ha ottenuto due nomination ai David di Donatello come miglior opera prima e per i migliori effetti speciali visivi. Un film che è autentica poesia.
La donna che fece del teatro la sua (vera) casa
Saper recitare è questione di talento o di studio? Nel caso di Elisa Di Eusanio, tra le migliori attrici che l’Abruzzo abbia mai portato sulla scena nazionale, il dubbio è, potremmo dire, amletico. Il talento è innato ed evidente. La prima a scoprirlo fu la madre, Mariella Converti, che diventò la sua maestra e poi (troppo presto) scomparve. Tuttavia, osservando Elisa mentre domina il palcoscenico come se proprio lì fosse nata, come se quella fosse la sua vera casa, è difficile pensare che le sue capacità non siano il frutto di un duro lavoro e di una preparazione quasi maniacale. Grandi capacità, grande versatilità. Elisa passa facilmente dal teatro al cinema e di entrambi indaga ogni possibilità, ogni sentiero: attrice, autrice, regista, persino doppiatrice. Un funambolo della messa in scena, con un’enorme potenza espressiva che stupisce e incanta. Un obbligo intervistarla.