Archivio per la categoria ‘Ritratti’
L’uomo che studia i mattoni primordiali dell’universo
Si sta dando da fare per rendere l’osservatorio (concedeteci l’ossimoro) più “visibile” all’esterno. E per cercare di evitare che, contrariamente a quanto scritto tre anni fa nello statuto dell’Inaf, l’Istituto nazionale di astrofisica da cui dipende, quello di Collurania venga accorpato a Roma. Un modo elegante per dire che chiuderà. Roberto Buonanno, direttore dell’osservatorio fondato da Vincenzo Cerulli nel 1890 e presidente della Società astronomica italiana, per il momento ha ottenuto, anche grazie all’aiuto della Regione e delle risorse del Fondo sociale europeo, il congelamento della decisione. Il contributo Fse arriverà in cambio delle attività didattiche che i ricercatori di Collurania si sono impegnati a svolgere nelle scuole superiori abruzzesi. Do ut des. Ma il rischio di chiusura è acqua passata. Buonanno si rilassa e noi ne approfittiamo per cogliere (dello scienziato) un’intervista-ritratto.
L’arte che tramuta i pastori in cowboys
Ama gli angoli nascosti della montagna abruzzese, che ha girato in lungo e in largo a caccia di inquadrature. E ama soprattutto i personaggi che vi abitano, i quali nel suo obiettivo appaiono più simili a cowboys americani che a pastori italiani. Ritratti che sembrano dipinti e che l’”Hasselblad Bulletin”, la rivista online della più importante azienda mondiale di macchine fotografiche d’alta qualità, ha deciso di pubblicare nell’ultimo numero. Un bel riconoscimento per Maurizio Anselmi, il fotografo artista che più di tutti conosce paesaggi e gente del Gran Sasso. Per lavoro e per passione. Due elementi che costellano una lunga carriera svolta con dedizione cercando (e riuscendo nell’intento) di stare alla larga da matrimoni e cerimonie, l’attività che di solito i fotografi di professione svolgono per necessità.
«La musica, la mia favolosa ossessione»
Luca D’Alberto è un artista sorprendente. La sorpresa sta nel trovarlo sempre al fianco di grandi personaggi in vari campi, dal teatro alla danza o alla musica rock, senza vederne modificati negli anni né il carattere (fondamentalmente timido) né l’approccio alle cose che gli accadono intorno (allegro e spensierato, come sempre). L’espressione e i modi da eterno fanciullo, però, tradiscono le doti e il talento di un musicista colto, sensibile e raffinato. Ecco la sua (sorprendente) intervista-ritratto.
Luca D’Alberto, quando e come ha iniziato a suonare e perché?
«Ho iniziato da piccolissimo perché nella mia famiglia ci sono due meravigliose musiciste: mia madre e mia sorella. Ascoltandole suonare, chiesi di iniziare lo studio di uno strumento e scelsi la viola e il violino. Gli strumenti ad arco mi hanno sempre appassionato. Mi sono avvicinato anche alla Violectra 6 corde».
Un chitarrista teramano tra i grandi del blues
Non sono molti i chitarristi italiani che possono dire di aver suonato con leggende del blues come Bob Stroger, Willie “Big Eyes” Smith (il batterista di Muddy Waters), Jimmy Burns o J.W. Williams. Lui, Luca Giordano, abruzzese doc, a soli 33 anni può dirlo forte anche se la sua fama ha percorso più rapidamente il circuito dei locali e dei festival statunitensi che la sua provincia di nascita, ciò che lui stesso chiama il “nido”: Teramo. Chi l’avrebbe mai detto che questo ragazzo mingherlino e con la barba un po’ incolta, sempre sorridente ma fondamentalmente timido, sarebbe diventato un punto di riferimento, almeno negli States, tra i fedeli della musica nera per antonomasia, la cosiddetta “musica del diavolo”, il blues. Pazienza, in attesa che la sua città se ne accorga e gli conceda gli onori che merita (a proposito, il suo prossimo concerto a Teramo è fissato per il 1° dicembre, insieme al noto armonicista Marco Pandolfi), vi forniamo un suo gradevole ritratto.
Un pittore che ama il pastello e odia le cornici
Marino Melarangelo è un pittore che apprezzo molto e che avrei voluto intervistare da tempo. Mi pento di non averlo fatto prima perché, solo ora, ho avuto la possibilità di scoprire un artista profondo, consapevole, alla continua ricerca di sé. Ho anche visitato il suo studio, dove l’arte di famiglia trasuda da ogni angolo, e ammirato i suoi lavori. Che mettono al bando i colori e danno spazio solo alla miscela di bianco e nero. La sua pittura, originalissima, è puro sogno ma non potrebbe fare a meno della realtà da cui sempre prende spunto.
Il fumettista italiano che fa impazzire i francesi
C’è chi lo descrive come il nuovo Manara (di cui peraltro è amico) ma lui, Adriano De Vincentiis, disegnatore teramano molto apprezzato in Francia e in altri Paesi oltre che nel circuito di appassionati nostrani, rifiuta le etichette. Di certo si può dire che la sua matita riesce a incantare al pari di quella del grande artista a cui qualcuno lo vorrebbe accostare. De Vincentiis, che viene dallo stesso liceo (artistico) teramano in cui si sono fatti le ossa altri talenti della sua generazione (vedi Cristiano Donzelli o Carmine Di Giandomenico) è uno che riflette molto prima di pensare e non dà mai risposte scontate. Definirlo un anticonformista sarebbe riduttivo. Lasciamo che siano le sue stesse parole a fornircene il ritratto.
La regina dei pattini che ha fatto sognare l’Italia
Il suo sorriso e la sua ironia nascondono una tenacia e una capacità di autocontrollo che in pochi, nella storia dello sport, hanno saputo dimostrare. Lei, Raffaella Del Vinaccio, la pluricampionessa del mondo di pattinaggio artistico su rotelle che ha regalato all’Abruzzo e all’Italia, tra gli anni Ottanta e i Novanta, i massimi riconoscimenti assegnati a questa disciplina (l’ideale erede oggi è Debora Sbei, anche lei abruzzese), aveva forse questo di spettacolare: in gara non perdeva mai il controllo. Provate a cercare qualche video delle sue esibizioni e vi accorgerete, anche con occhi inesperti, che “Raffa” (così la chiamavano tutti) era assolutamente perfetta. Questione di allenamento, dice lei. Questione di talento, diciamo noi, e di una forza straordinaria che ha portato una ragazza teramana a strappare agli americani il dominio prima incontrastato nella specialità.
Io e mio padre John, che insegna a scrivere col cuore
Chi non ama leggere, dovrebbe sfogliare un suo libro almeno una volta nella vita: cambierebbe idea in un attimo. Chi non ha mai letto un suo libro, dovrebbe comprarli tutti a cominciare da “Aspetta primavera, Bandini”, “La confraternita dell’uva”, “Chiedi alla polvere” e “Sogni di Bunker Hill”. Quattro capolavori da leggere d’un fiato per rimettere pace dentro la propria anima e guardare le cose che ci circondano con gli occhi colorati della poesia e delle emozioni più vere. Parliamo naturalmente di John Fante, l’indimenticato scrittore e sceneggiatore italo-americano che ha fatto della vicenda umana e dei sogni di Arturo Bandini, suo alter ego, un mito letterario da sistemare ai primi posti della libreria ideale di ciascuno di noi. A trent’anni dalla sua morte, abbiamo incontrato il figlio Dan, anch’egli scrittore, in Abruzzo per ricordare il padre in occasione dell’ultima edizione del festival di Torricella Peligna (il paese di origine della famiglia) a lui dedicato.
Freyrie, se la scrittura diventa uno spasso molto serio
Se non scrive, legge. Se non legge, suona la chitarra (classica ed elettrica). Vive a Bologna e lavora a Milano ma nelle sue vene, grazie alla madre, scorre sangue abruzzese. Ama Giulianova, dove trascorre (parole sue) almeno un mese all’anno della sua vita da quando è nato. Non è un tipo di quelli che danno nell’occhio, tuttavia è difficile che gli sfugga qualche dettaglio della realtà che lo circonda. Se non lo conosci bene, fai fatica a credere che una persona così seria, gentile e a modo sia capace di far ridere fino alle lacrime, davanti allo schermo, milioni di italiani. Come? Semplice: Francesco Freyrie, scrittore di teatro e televisione, è uno degli autori di punta della squadra di Maurizio Crozza. A volte fa capolino, agghindato come un perfetto corazziere, accanto al Crozza-Napolitano. Non ha velleità di attore, al contrario. È uno che ha fatto della scrittura una precisa ragione di vita oltre che il suo unico e prezioso (soprattutto per gli altri) lavoro.
Professione: romanziere fantasy. A sedici anni
Marco Esposito, teramano, sedici anni, professione: romanziere. Lo si può già dire perché il suo primo romanzo, “Il vaso di Pandora”, pubblicato da Artemia Edizioni (2012, pagg. 278, 15 euro), è soltanto il primo volume di una corposa trilogia e sulle altre puntate della saga il nostro sta già lavorando. Se il buongiorno si vede dal mattino, la triplice fatica di Marco sarà ampiamente ripagata visto che la sua opera d’esordio, già presentata a Teramo, Pescara, L’Aquila ed Ascoli Piceno, anche nelle scuole, sta già riscuotendo significativi consensi.
Un libro che Marco ha scritto quando aveva tredici anni (o poco più) ma che ha visto la luce solo alcuni mesi fa. Questo, con ogni probabilità, perché non è semplice, almeno non lo è per tutti (fatta eccezione per i genitori o per chi è abituato a cacciar talenti), scoprire che un bambino riesce a coinvolgere giovani e meno giovani, con la propria scrittura, al pari di un adulto. Affrontando magari argomenti diversi, ma con la stessa profondità di chi è già maturo. Continua la lettura »