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Da Teramo a Singapore passando per il Giappone
C’è paese e paese. Ma di casa ce n’è una sola. C’è tuttavia chi, pur distinguendo i due concetti, si sente cittadino del mondo. E, privo di quella diffusa malattia che viene scambiata per attaccamento alle radici ma forse è più simile (banalmente) a uno stato di pigrizia mentale, va libero per il mondo perchè del globo intero e non di una parte di esso si sente a pieno titolo abitante. Uno di questi è Enrico Pelillo, un allegro e divertente professionista teramano che non ha avuto paura di aprire la propria mente quando di globalizzazione, soprattutto nel mercato del lavoro, non si parlava ancora. Lo abbiamo intervistato via facebook e così le sette ore di differenza a nostro svantaggio quasi non si sono avvertite.
«Ecco perché resto in Giappone»
Storieabruzzesi.it ha contattato via Facebook Enrico Pelillo, ingegnere teramano da dieci anni in Giappone, chiedendogli di raccontare la sua personale esperienza del devastante terremoto che ha colpito il Paese. Pelillo ha accettato di rispondere alle nostre domande. Il risultato è questa intervista che vi proponiamo integralmente.
Enrico, dov’eri quando è arrivata la scossa più forte?
«Ero a casa, lavorando al pc su alcuni documenti. Per intenderci, a Kobe, dove vivo, che è a circa 800 chilometri dall’epicentro, la scossa non si è nemmeno sentita. Però il sistema di allerta giapponese, tra i più efficienti al mondo, ha trasmesso la notizia del terremoto su tutti i canali tv e radio immediatamente (roba di secondi). Letta l’entità della scossa, ho capito immediatamente che si trattava di qualcosa di importante, non le solite ‘scossette’ cui ci si abitua da queste parti».